Il linguaggio maledetto della grande Nithia
Uno dei grandi misteri della storia del continente di Brun, come ben sanno anche i meno dotti tra i letterati, è certamente quello dell’impero Nithiano, della sua rapida ascesa a potenza dominante, delle conoscenze magiche che acquisì e della sua caduta.
Questa civiltà maledetta dagli dei, resta ancora oggi una grande incognita per ogni storico che si appresti a fare studi su di essa, tranne che per Gloster Dys, il cavaliere che fu santo per le chiese di Traldara e di Oghma, il quale riuscì persino a svelarne uno dei segreti più agognati e pericolosi: il linguaggio.
Non vi sono molti documenti sopravvissuti alla caduta del grande impero, così come della diaspora traldariana conosciuta come Hutaaka e anch’essa finita nell’oblio; tuttavia vi sono numerose tavole di vario materiale e steli, oltre che iscrizioni su antichi cenotafi, monumenti e camere sepolcrali, dalle quali sarebbe possibile ricavare nozioni sui nithiani e sulle loro scoperte. Tale pratica, è sempre stata scoraggiata in ogni angolo del Brun anche nei circoli del sapere di quelle nazioni che più agognano alla conoscenza, come il Glantri, Alphatia o la mia stessa chiesa oghmana.
Le motivazioni sono fin troppo note: il potere magico raggiunto dalla civiltà nithiana fu la causa della sua rovinosa caduta e della maledizione che gli dei fecero scendere su di essa. Inoltre, prove storiche legate a pratiche di evocazione demoniaca e molte leggende della tradizione orale ylariana, lasciano ben poco spazio ad un’interpretazione che le conoscenze acquisite dai nithiani fossero innocue.
Dopo la scomparsa della civiltà, nonostante gli accorati appelli di molti maestri del sapere, tantissimi studiosi, storici, traduttori, chierici e maghi, tentarono di impossessarsi delle conoscenze nithiane e per poterlo fare, tentarono di codificare un sistema e stilare delle regole per la comprensione della misteriosa lingua. La questione fu piuttosto difficile e dibattuta, a causa della mancanza di testi di confronto in lingue differenti e della metodica cura adottata a suo tempo dai nithiani per preservare i propri segreti, inclusa la precisa volontà a non insegnare il proprio linguaggio agli stranieri e persino a scoraggiarne l’uso.
Il grandi problemi nella traduzione, vennero però in seguito, quando si cominciò a comprendere il funzionamento della lingua, il significato dei simboli ed a tentare le prime traduzioni eseguite con cognizione di causa. Ogni qual volta pareva che uno studioso fosse ad un passo dal completare la traduzione di un testo o di una stele, i quali erano immancabilmente incompleti in alcune parti, il malcapitato moriva in modo atroce, con il cranio che sembrava aver preso fuoco dall’interno. Non tutti coloro che studiarono il nithiano morirono, fortunatamente, ma benché sopravvissuti, essi raccontarono di essersi riavuti da uno stato di grande vertigine e stordimento solo per vedere i propri progressi svaniti: ricordavano poco o nulla di quanto tradotto e le pergamene ed i supporti su cui era stato riportato il testo in lingua comune, erano stati ridotti completamente in cenere.
A chi si approcciò alla misteriosa lingua utilizzando la magia, andò persino peggio: nessun incantesimo conosciuto fu in grado di tradurla e gli effetti collaterali furono ben più terribili di quanto capitato agli altri. Fu così che alcuni studiosi cominciarono ad avanzare l’ipotesi, oggi universalmente accreditata, che la lingua nithiana fosse maledetta, probabilmente dagli dei o da qualche oscura magia, per impedire che le conoscenze sulle pratiche magiche degli uomini-sciacallo venissero alla luce.
Pare quindi, che una traduzione incompleta o non corretta, cosa praticamente impossibile da evitare senza una decodifica precisa dei simboli geroglifici, porti ad una attivazione della Trama, che reagisce intaccando gli appunti delle traduzioni e colui che ha tentato l’impresa, mentre lo scritto originale non viene mai colpito da questa ritorsione della maledizione.
Si può dunque ipotizzare, che il creatore di questa protezione linguistica, questo divieto magico, lo abbia fatto per impedire che chiunque non fosse nithiano o hutaakano, potesse leggere correttamente le testimonianze ed il sapere degli antichi uomini-sciacallo, non potendone cancellare la vasta architettura monumentale ed i numerosi reperti storici e archeologici.
Dell’Antico Nithiano, nominalmente un linguaggio geroglifico di tipo alfabetico utilizzato anche dagli Hutaakani, si conoscono verosimilmente quasi tutti i caratteri e la modalità di scrittura, da destra verso
sinistra; mancano alcune lettere rispetto all’alfabeto
comune imperiale thyatiano e non è dato sapere se vi siano caratteri non ancora scoperti che possano formare dittonghi o iati, in quanto sulla pronuncia ed i suoni del nithiano parlato, aleggia il buio più totale.
Inoltre, come se non bastasse a complicare ulteriormente le cose, non esistono indicazioni sull’utilizzo di eventuale punteggiatura.
Tra tutti i geroglifici, uno in particolare è degno di nota, ed è il seguente:
E’ interessante notare che negli scritti nithiani, siano essi su stele, pergamena o qualsiasi altro supporto, questo simbolo appare molto spesso isolato tra le parole, quasi fosse una pausa nel testo, come fosse una virgola o un punto. Tale non è da considerarsi tuttavia una regola, in quanto esso è presente anche in mezzo o all’inizio delle parole stesse e come già visto, non è possibile provare una ricerca per tentativi, perché un’errata o incompleta traduzione porta alla pazzia, o nel peggiore dei casi, ad una morte terribile.
Questo è tanto più vero, se valutiamo un’altra grande incognita: i nomi propri di persone o luoghi. E’ letteralmente impossibile conoscere com’erano composti i nomi propri nithiani e di conseguenza non è ipotizzabile di poterli tradurre in maniera corretta.
Molti stregoni, chierici e maestri del sapere sono morti nei secoli, nel tentativo di carpire i segreti dei nithiani partendo dalla loro lingua, ma nessuno a parte San Gloster vi è mai riuscito.
La quasi totalità dei culti e delle scuole magiche del Brun, proibiscono espressamente ad ogni adepto lo studio del nithiano e ora che il fuoco della conoscenza arde con meno foga giovanile dentro di me, comprendo la saggezza di tale scelta e di coloro che un tempo etichettai come conservatori, mio malgrado, sbagliando.
La conoscenza è potere, ma a volte, non si è stati disciplinati a sufficienza dallo studio e dalla vita, per poterlo esercitare nel modo corretto.
Tratto da "Studi su Nithia Antica" di Confratello Bernard da Halag Archivista e Saggio della Chiesa Oghmana Diocesi di Kelvin